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Da un anno a questa parte sento di essere cambiata molto, la mia vita si è stravolta e ho dovuto imparare a ricostruirmi, perché quando perdi qualcuno di caro perdi anche uno dei pezzi che ti compongono.
Ho perso mia mamma a causa di un tumore, la morte e la malattia sono massi che mi sono ritrovata a portare con me per tanto, come dei pesi da sorreggere sulla schiena; la visione che avevo del mondo era cambiata, era offuscata dalla tristezza, e dalla rabbia; mi sono ritrovata più volte a chiedermi perché fosse capitato proprio a me e perché non potessi avere una vita normale come quella delle persone che avevo intorno
Per riottenere la mia felicità ho avuto bisogno di fare un percorso con una psicologa che io penso mi abbia salvata, inizialmente l’idea di dover dire ad alta voce pensieri che avevo nascosto per tanto dentro di me mi terrorizzava, nonostante ciò sapevo che era la cosa giusta da fare per stare bene; perciò per un anno ho parlato di come stessi e finalmente quei massi che mi portavo sulla schiena sono oggi cicatrici, non posso eliminarle, fanno parte di me, e ne vado fiera, mi ricordano quanto posso essere forte e quanto ho dovuto lottare perché non è stato un percorso semplice, ho dovuto entrare in contatto con la mia tristezza, che per molto ho cercato di evitare, perché mi faceva paura.
Dopo più di un anno dal lutto, sono orgogliosa di dire di essere tornata felice, sono serena e la visione di quello che mi circonda è cambiata in meglio, non solo per merito mio ma anche dell’aiuto di due persone in particolare che sono riuscite a starmi vicino, mio padre, e la psicologa SAMCO, che non smetterò mai di ringraziare.
Ho iniziato a dedicarmi a questa attività di volontariato da pochi mesi soltanto.
Vado regolarmente a far visita a Maria, al suo domicilio. Lei è gravemente ammalata ma quasi del tutto autosufficiente.
Siamo stati contattati dalla famiglia di Maria che aveva bisogno di un supporto psicologico. Le è stato proposto l’aiuto di un volontario ed ecco che sono stata accompagnata e presentata a Maria con la speranza che lei potesse accettare la mia presenza e le mie visite. Questo non era scontato!
Pian piano, sono entrata in casa sua, in punta di piedi e, volta dopo volta, sono riuscita a farle apprezzare la mia compagnia. Già dopo qualche visita, Maria si è ripresa, la famiglia ha potuto constatare un miglioramento del tono del suo umore e dell’accettazione della sua condizione. La famiglia ha inoltre potuto prendere un pò di respiro e gestire altri problemi già presenti.
Con Maria c’è condivisione, scambio di opinioni e semplici chiacchiere; compatibilmente con i sintomi, ad ogni mia visita, mi muovo in modo delicato ed attento: decidiamo insieme cosa fare, se uscire a fare due passi (di più non si può), se sederci in un dehors di un bar, se fare una commissione in auto o se restare in casa a chiacchierare.
Quando torno a casa, dopo essere stata con lei, mi sento bene, certamente preoccupata per il suo stato di salute ma comunque serena. Insomma, posso dire che questa attività a cui mi sono avvicinata ed a cui ho voluto provare a dedicarmi, mi mette un pò alla prova ma certamente mi restituisce gratificazione per l’aiuto che credo di donare ad una persona fragile e bisognosa.
Venerdì 11 novembre, Giornata Nazionale delle Cure Palliative abbiamo organizzato un incontro sul tema della cura presso la Biblioteca Archimede di Settimo Torinese.
L’evento partendo dal libro Prendersi Cura di Giada Lonati, direttrice sanitaria Vidas, ha trattato l’importanza di riappropriarsi della capacità di cura all’interno della nostra società.
Vi lasciamo con le parole di Oscar Bertetto, presidente onorario SAMCO e già direttore della Rete Oncologica del Piemonte e della Valle d’Aosta, che durante la serata ha dialogato con l’autrice, che descrivono la profondità e intensità che hanno caratterizzato l’incontro:
“Sono intervenuto alla biblioteca civica di Settimo Torinese per introdurre la presentazione di Giada Lonati del libro da lei scritto sulla propria esperienza di medico palliativista dal titolo “Prendersi cura. Per il bene di tutti: nostro e degli altri “. La dottoressa è impegnata dal 1995 presso VIDAS, l’Associazione milanese fondata da Giovanna Cavazzoni nel 1982 per l’assistenza domiciliare dei pazienti in fase avanzata di malattie croniche a evoluzione infausta, prevalentemente oncologiche e neurodegenerative, dal 2010 ne é la direttrice sociosanitaria, con l’apertura nel 2019 del primo hospice lombardo per i bambini.
Il mio compito è stato di stimolare l’autrice a parlare dei punti salienti dei 9 capitoli in cui si articola il libro. Partendo da episodi della propria esperienza lavorativa, dalle personali relazioni con i pazienti e i famigliari, dalle sue intime emozioni ha saputo coinvolgere i presenti su temi delicati ma di grande rilievo. La concretezza delle situazioni illustrate e la grande professionalità e umanità con cui sono state affrontate ha destato un attento ascolto e una sentita e viva compartecipazione.
È stato sottolineato come il prendersi cura a fondo dei problemi delle persone gravemente ammalate al termine del loro percorso di vita porti ad una apertura mentale più ampia che non può non interrogarsi sulle questioni della emarginazione sociale, della esclusione dei migranti, dell’emergenza climatica e in definitiva alla necessità di dar voce alla spiritualità umana, che ci pone l’ineludibile domanda sul senso delle nostre vite.
Nel libro sono descritti momenti assistenziali toccanti e significativi; si ha il coraggio di confrontarsi con sentimenti profondi di debolezza, cedimento, vergogna per la propria dipendenza da parte delle persone curate ma anche con le incertezze, la stanchezza, innovazione momenti di delusione e sconforto dei curanti.
Ancora una volta le cure palliative hanno dimostrato la loro capacità di rigenerare il vero senso della medicina che non può limitarsi ad essere una tecnologica innovazione né una iperspecializzazione ma una profonda relazione e una compartecipazione decisionale tra paziente e medico. È una importante precisazione quella dell’autrice che ricorda come nello stesso anno, 1967, si abbia il primo trapianto cardiaco e l’entrata in funzione del primo hospice, quasi a dimostrare che questi due aspetti della medicina sono inscindibili e sarebbe un’arrogante presunzione pensare che solo il primo rappresenti il futuro”.
Crescentino, 8 giugno 2022
La voglia, la strategia e la necessità di vivere al meglio, è sempre stata nei secoli una priorità per tutti gli esseri viventi, compresi animali e piante. Ed io, Ruggero Greco, non faccio eccezione. Ma quando la salute viene a mancare, cosa facciamo?
Questa è la mia storia.
Come cuoco diplomato, lavorando fin da ragazzo negli hotel a 4 o 5 stelle, ho avuto una vita ricca, piena di avventure bellissime e fuori dal comune, intrecciando relazioni amorose con donne stupende in giro per il mondo. Pieno di gratitudine e di gioia sono arrivato a 65 anni col pensiero alla pensione. Ma il mio destino, il destino che io mi sono costruito, mi ha fermato in tempo di pandemia con una polmonite e un tumore maligno.
Nel 1987 una persona mi aveva parlato di una scuola di buddismo giapponese che aveva subito la mia attenzione, e da allora ho messo i miei principi buddisti al centro del mio modo di vivere. La base del buddismo, nato proprio per capire e affrontare le 4 sofferenze di nascita, invecchiamento, malattia e morte, mi sostiene proprio adesso. In questo momento terribile. Dandomi la forza nei momenti bui, in cui sofferenza e lacrime diventano comunque parte della mia quotidianità.
La cosa essenziale per affrontare qualsiasi tipo di difficoltà è farlo con uno stato vitale alto, non in preda a pessimismo e disperazione. Come strumento per fare ciò, noi usiamo la ripetizione costante di Nam – Myoho – Renghe – Kyo. Questa meditazione fa uscire dal nostro cuore coraggio, determinazione e allegria.
Io uso questa preghiera, perchè di preghiera si tratta, per indirizzare l’energia che ne scaturisce direttamente sul male.
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