Come sostenere i caregiver di malati neurologici?
SAMCO offre ai cittadini del suo territorio un nuovo progetto di sostegno, per le famiglie che curano un malato di patologie neurologiche.
Abbiamo intervistato il dott. Andrea Raviolo, psicologo psicoterapeuta, esperto di neuropsicologia.
Quali sono le malattie neurologiche più gravi e diffuse tra la popolazione?
Quando si parla di malattie neurologiche, si apre davanti a noi un mare magnum di patologie diverse, con un ampio spettro di sintomi, tipologie di decorso e soprattutto ripercussioni sulla vita di tutti i giorni e sul rapporto con le persone intorno a noi.
Una caratteristica tipica delle malattie neurologiche è l’estrema variabilità di incidenza; in altre parole, alcune patologie sono estremamente comuni e si presentano con una relativa frequenza -pensiamo per esempio alla cefalea- mentre altre costituiscono vere e proprie chimere, con pochi casi documentati al mondo. Parlando in generale, si stima che un terzo della popolazione mondiale soffra, in forma più o meno grave, di una forma di patologia neurologica.
Le patologie più diffuse e conosciute nell’immaginario comune, nonché nell’esperienza dei miei pazienti che si occupano dei loro cari, sono sicuramente le patologie cerebrovascolari e le patologie neurodegenerative: nella storia di quasi ogni famiglia esiste o esistono purtroppo casi di persone colpite da ictus o da una forma di demenza, con tutte le conseguenze nella ridefinizione delle abitudini e delle dinamiche familiari dettate dalle esigenze del processo di cura.
Quali sono le difficoltà che si trovano di fronte le famiglie nel prendersi cura di queste patologie?
Se rivolgiamo la nostra attenzione alle patologie più diffuse quali l’ictus e le demenze, è proprio il caso di dire che il lavoro delle famiglie nell’impervio processo del prendersi cura inizia esattamente dal primo gradino all’uscita dall’ambulatorio o dall’ospedale.
Dai racconti quotidiani che mi vengono restituiti quotidianamente, è necessario da parte delle persone che ruotano intorno ai pazienti un costante lavoro di programmazione di visite mediche, aggiustamenti progressivi, ridefinizione di routine e costruzione di un ambiente adeguato che possa sopperire a ciò che la malattia ha tolto, e soprattutto potenziare e preservare con estrema cura ciò che la malattia ha risparmiato.
Per la mia esperienza, le difficoltà delle famiglie sono legate soprattutto a tre dimensioni: la prima consiste nel comprendere e gestire, sia a casa che fuori, le conseguenze della patologia, cercando di integrare nel quotidiano del paziente ed al miglior grado possibile gli accorgimenti che la patologia richiede (somministrazione di farmaci, appuntamento per visite e terapie, necessità di assistenza domestica, ecc) con le normali attività precedenti nell’ottica del mantenimento della migliore qualità di vita possibile.
In secondo luogo, un’altra difficoltà è data dal districarsi nella rete di servizi ed aiuti a disposizione, che non sempre risultano immediatamente accessibili, sia per inesperienza che per difficoltà burocratiche; non dimentichiamo inoltre che chiedere aiuto quando ci si trova in emergenza risulta decisamente più difficile.
Infine, e questo rappresenta a mio avviso la sfida più grande, è cercare di fare spazio nella vita del caregiver a tutte le novità che il fulmine a ciel sereno della malattia li obbliga ad inserire, spesso forzatamente; specularmente a quanto accade nella vita del malato, anche coloro che se ne prendono cura si trovano ad inseguire quel difficile equilibrio fra la loro vita precedente all’evento morboso e le nuove sfide di assistenza poste dalla malattia.
Chi sono i caregiver?
I caregiver sono i veri protagonisti del processo di cura e del cammino di costruzione del benessere per i nostri malati.
Come il termine suggerisce, caregiver è colui che dà cure, intese nel senso più ampio del termine; portare un malato ad una visita, sorridergli, regalargli un tocco leggero, preparare il pranzo seguendo un determinato regime alimentare o prendere un libro da uno scaffale troppo alto: tutte queste azioni sono validi processi di cura.
Man mano che il processo diagnostico-terapeutico procede, intorno al malato si tesse una rete di specialisti, infermieri ed altre figure, ciascuna delle quali si occupa di un frammento clinico essenziale, una tessera del puzzle necessaria a completare il disegno curativo; è essenziale ricordarci che l’unica persona a custodire la visione di insieme, secondo cui posizionare o riarrangiare le tessere del puzzle, è proprio il caregiver.
Nella mia esperienza, i caregiver possono essere il coniuge, un amico, un fratello o un vicino di casa. Nei casi più felici, ne esiste più di uno, dando luogo ad una vera e propria staffetta di aiuto; in altri, le responsabilità vengono palleggiate da una persona all’altra, con un effetto spesso confusivo e di rallentamento del complesso meccanismo di assistenza.
Come è possibile aiutarli e sostenerli nel loro difficile compito?
Faccio un passo indietro: parlando dei caregiver, farsi aiutare non è solo possibile, è assolutamente necessario: l’attività di prestare cure sollecita il nostro cervello in modo potente e continuo, ed un’attività di manutenzione emotiva è assolutamente fondamentale al fine di rendere il loro complesso cammino più agevole, evitando il rischio di burnout.
Come spesso ripeto ai miei pazienti, non esiste una ricetta universale di sostegno ai caregiver.
Ciò è vero perché il nostro cervello, ma sarebbe più corretto dire il nostro sistema nervoso, è la sede dei nostri pensieri, dei nostri ricordi e della nostra storia: non è un’esagerazione affermare che il nostro sistema nervoso è ciò che ci rende chi siamo. E poiché ognuno di noi è differente, ne consegue necessariamente che gli eventi che impattano a livello neurologico provocano conseguenze differenti per ognuno di noi, il che rende necessario studiare soluzioni di cura ed assistenza personalizzate, forse più che in altre branche della medicina.
I caregiver vanno dunque sostenuti in modo presente, non giudicante e soprattutto tempestivo, attivando il prima possibile una rete di sostegno emotivo, facilitando l’accesso alle cure, educandoli in merito al decorso della patologia e fornendo strumenti pratici che possano alleggerire le incombenze quotidiane.
Pongo l’accento sulla tempestività in quanto il logorio mentale causato da un prolungato sforzo di accudimento può esitare in situazioni di stress cronicizzato, con ricadute spesso dirompenti sulla vita del caregiver.
Quali sono le cose principali che occorre sapere sul sostegno pubblico disponibile quando si cura un malato neurologico?
Come accennavo in precedenza, chiedere aiuto ed accedere alle risorse non è affatto semplice quando ci si trova catapultati in una situazione di emergenza o di affanno. È più che normale che nella mente di un caregiver in allarme a causa delle innumerevoli necessità del malato, si formi l’immagine di un mondo ostile e poco incline a fornire aiuto.
È altresì vero che nello scenario attuale le risorse sono limitate, e se non altro per inesperienza, non si sa dove sbattere la testa. Non a caso alcuni dei caregiver che incontro, si sentono più orientati e sicuri nel chiedere aiuto quando hanno già vissuto una situazione analoga in passato.
Ricordiamo che abbiamo a nostra disposizione almeno tre figure cui rivolgerci:
La prima figura di riferimento è sicuramente il proprio medico di famiglia, che saprà elencare e consigliare le possibilità di assistenza laddove se ne presenti la necessità, nonché inserire il malato nei circuiti ambulatoriali appropriati; in alcuni casi, se la patologia raggiungesse livelli di gravità tali da pregiudicare il normale svolgimento delle attività quotidiane da parte del malato, è possibile attivare il percorso di riconoscimento dell’invalidità civile.
La seconda è lo specialista o gli specialisti che già seguono il malato longitudinalmente nel tempo attraverso controlli ambulatoriali: se possibile, è importante rispettare i controlli cadenzati nel tempo per cogliere le variazioni dell’andamento patologico ed approntare gli aggiustamenti necessari sui vari livelli, dalla terapia farmacologica al raccordo con altri specialisti.
Infine, sono presenti sul territorio diverse realtà che si occupano di patologie di vario tipo, pronte a fornire interventi di sostegno emotivo o ulteriore facilitazione di accesso ai servizi offerti dalle istituzioni.
Tengo molto a ribadire un’ultima volta l’importanza vitale del chiedere sostegno; l’aiuto, paradossalmente, va chiesto proprio quando si percepisce di avere ancora sufficienti risorse per andare avanti, e non quando si sente di essere arrivati al limite: come amava dire uno dei miei maestri, il tetto si ripara quando non piove.
…o non piove forte, aggiungerei!