Venerdì 11 novembre, Giornata Nazionale delle Cure Palliative abbiamo organizzato un incontro sul tema della cura presso la Biblioteca Archimede di Settimo Torinese.
L’evento partendo dal libro Prendersi Cura di Giada Lonati, direttrice sanitaria Vidas, ha trattato l’importanza di riappropriarsi della capacità di cura all’interno della nostra società.
Vi lasciamo con le parole di Oscar Bertetto, presidente onorario SAMCO e già direttore della Rete Oncologica del Piemonte e della Valle d’Aosta, che durante la serata ha dialogato con l’autrice, che descrivono la profondità e intensità che hanno caratterizzato l’incontro:
“Sono intervenuto alla biblioteca civica di Settimo Torinese per introdurre la presentazione di Giada Lonati del libro da lei scritto sulla propria esperienza di medico palliativista dal titolo “Prendersi cura. Per il bene di tutti: nostro e degli altri “. La dottoressa è impegnata dal 1995 presso VIDAS, l’Associazione milanese fondata da Giovanna Cavazzoni nel 1982 per l’assistenza domiciliare dei pazienti in fase avanzata di malattie croniche a evoluzione infausta, prevalentemente oncologiche e neurodegenerative, dal 2010 ne é la direttrice sociosanitaria, con l’apertura nel 2019 del primo hospice lombardo per i bambini.
Il mio compito è stato di stimolare l’autrice a parlare dei punti salienti dei 9 capitoli in cui si articola il libro. Partendo da episodi della propria esperienza lavorativa, dalle personali relazioni con i pazienti e i famigliari, dalle sue intime emozioni ha saputo coinvolgere i presenti su temi delicati ma di grande rilievo. La concretezza delle situazioni illustrate e la grande professionalità e umanità con cui sono state affrontate ha destato un attento ascolto e una sentita e viva compartecipazione.
È stato sottolineato come il prendersi cura a fondo dei problemi delle persone gravemente ammalate al termine del loro percorso di vita porti ad una apertura mentale più ampia che non può non interrogarsi sulle questioni della emarginazione sociale, della esclusione dei migranti, dell’emergenza climatica e in definitiva alla necessità di dar voce alla spiritualità umana, che ci pone l’ineludibile domanda sul senso delle nostre vite.
Nel libro sono descritti momenti assistenziali toccanti e significativi; si ha il coraggio di confrontarsi con sentimenti profondi di debolezza, cedimento, vergogna per la propria dipendenza da parte delle persone curate ma anche con le incertezze, la stanchezza, innovazione momenti di delusione e sconforto dei curanti.
Ancora una volta le cure palliative hanno dimostrato la loro capacità di rigenerare il vero senso della medicina che non può limitarsi ad essere una tecnologica innovazione né una iperspecializzazione ma una profonda relazione e una compartecipazione decisionale tra paziente e medico. È una importante precisazione quella dell’autrice che ricorda come nello stesso anno, 1967, si abbia il primo trapianto cardiaco e l’entrata in funzione del primo hospice, quasi a dimostrare che questi due aspetti della medicina sono inscindibili e sarebbe un’arrogante presunzione pensare che solo il primo rappresenti il futuro”.